Domenica 30 Dicembre, festa della S. Famiglia, ci siamo radunati in cattedrale per un momento di preghiera. Il testo meditato era il vangelo di quella domenica: Gesù che rimane a Gerusalemme tra i maestri del tempio, Maria e Giuseppe che lo cercano angosciati.
C’è una Gerusalemme verso la quale tutti siamo incamminati. Gerusalemme è il luogo della nuova ed eterna alleanza, dell’amore sino alla fine e della resurrezione; è anche il segno della “nuova Gerusalemme”, della sposa resa bella dallo Spirito che siamo chiamati ad accogliere nell’attesa di entrarvi per sempre. E’ nel cammino verso Gerusalemme che dobbiamo introdurre i nostri figli e i più giovani. È verso Gerusalemme che dobbiamo sperare imparino la strada. Spesso noi “andiamo a Gerusalemme” per poi venirne via alla svelta, la Pasqua settimanale rischia di essere una parentesi e non il dono in cui rimanere tutti i giorni. Anche noi come Maria e Giuseppe o come discepoli di Emmaus siamo invitati a tornare indietro, a cercare il Signore nella sapienza della croce e non da un’altra parte. Come canta il salmo: “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.
Poi nella risposta di Gesù ai suoi genitori che lo cercavano angosciati ”Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, abbiamo accolto l’occasione per meditare su cosa significa “essere nelle cose del Padre”. Alla parole angosciate di Maria, che chiede spiegazioni per sé e per il padre, Gesù risponde parlando di un altro Padre.. educare un figlio significa metterlo in mani più grandi, battezzarlo veramente significa immergerlo in una relazione che gli cambia la vita. Gesù ai suoi genitori avrebbe potuto anche rispondere: “me l’avete insegnato voi a essere nelle cose di Dio, senza cercare l’approvazione degli uomini”. Quanto noi genitori possiamo trasmettere questo ai nostri figli, che c’è una sola cosa essenziale nella vita, null’altro: l’essere figli del Padre, vivere pienamente la grazia che riceviamo nel Battesimo.
A conclusione del brano dello smarrimento nel tempio, c’è il ritorno di Gesù a Nazareth. Perché prima di giungere a Gerusalemme, prima di salvare l’uomo dal peccato, Gesù deve conoscere in profondità l’umanità, la sua sposa; per poter amare l’uomo lo deve conoscere. A Nazareth il Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, a giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo. Nel silenzio, nel lavoro, nell’obbedienza alla parola, in comunione con Maria, Giuseppe e i suoi parenti, Dio ha imparato dall’uomo tutte le cose dell’uomo. Nazareth è il grande mistero dell’assunzione totale della nostra vita da parte di Dio: ci ha sposato in tutto, facendosi un’unica carne con ogni nostra situazione concreta. Nazareth è il mistero che redime la creaturalità dall’insignificanza del suo limite. Nel limite del tempo incontriamo l’eterno, nel limite dello spazio troviamo l’infinito.
Ecco la grandezza di Maria, di Giuseppe e di Gesù: vivere la vita quotidiana nella consapevolezza di una grande missione. Ed ecco la missione di ogni nostra famiglia: vivere la vita quotidiana nella consapevolezza di questa grande, bella, lieta missione: ridare ai nostri figli e al mondo Gesù, e in Lui la possibilità di essere figli del solo Padre, uomini e donne compiuti, che possano giungere e vivere in Gerusalemme.
A Maria, che custodiva tutto nel cuore, chiediamo la sapienza di saper collegare ogni nostro momento presente, ogni nostro giorno in famiglia e al lavoro con un disegno più grande, con il sogno eterno di Dio; le chiediamo la gioia di poter pensare che ciò che Dio ci chiede in ogni istante è anche quello che chiede a tutta la nostra vita.
Buon cammino a tutte le famiglie!